Onorevoli Colleghi! - Sono trascorsi oramai cinque anni dal tragico assassinio del professor Marco Biagi. Il Parlamento ha già onorato il suo nome e la sua elaborazione progettuale con l'approvazione della legge 14 febbraio 2003, n. 30, sulla riforma del mercato del lavoro. Una legge che, giustamente, porta già il suo nome, perché era stata disegnata da Marco Biagi in ogni sua riga e il suo ruolo, nel lavoro del Governo Berlusconi sul versante delle politiche per l'occupazione regolare e di qualità, è stato sempre persuasivo e determinante, già a partire dalla presentazione del Libro bianco sul mercato del lavoro dell'ottobre 2001.
      Grazie alla «legge Biagi» il progetto di modernizzazione del mercato del lavoro italiano corre ora lungo un binario coerente con le migliori prassi presenti in Europa e anche con le indicazioni europee in materia di occupazione. Prassi e indicazioni che sollecitano, in particolare, la promozione di un modello evoluto di relazioni industriali: un modello cioè di tipo collaborativo-partecipativo, ove i rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori cooperano per il comune obiettivo di valorizzare le persone, in una logica di fidelizzazione e di promozione della loro occupabilità.
      Anche su questo versante Marco Biagi ci ha lasciato una importante eredità, un testo di legge vero e proprio, che è fondamentale non lasciar giacere inutilmente nelle polverose biblioteche delle nostre università, a dimostrazione del fatto che le idee, le buone idee, vivono e che nessuna cieca violenza terrorista potrà mai sconfiggerle. Sulla rivista Diritto delle relazioni industriali, di cui è stato autorevole direttore, Marco Biagi ha infatti pubblicato il testo di un articolato normativo da lui curato in collaborazione con una altra

 

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vittima del terrorismo, il professor Massimo D'Antona, perfettamente coerente con la logica di una legislazione di tipo promozionale della partecipazione dei lavoratori - e, segnatamente, dell'azionariato dei dipendenti - che pare quantomai attuale, in quanto la sua attuazione consentirebbe di portare a definitivo perfezionamento il progetto riformatore tracciato nel Libro bianco sul mercato del lavoro cui lo stesso Biagi ha contribuito in modo determinante. Questo testo di articolato normativo, elaborato nel corso della XIII legislatura per il Ministro dei trasporti e della navigazione, è oggi patrimonio di tutti e in particolare di quanti ritengono fondamentale mantenere in vita le idee di Marco Biagi anche come forma concreta e pragmatica di risposta alla cieca violenza di chi opera per creare nel nostro Paese un clima di odio e di scontro sociale che va oltre i normali confini della dialettica politica e sindacale. Ci si è limitato a rendere attuale il testo alla luce delle modifiche legislative intervenute nel frattempo.
      Da questo punto di vista è certamente merito di Marco Biagi aver posto la questione del rinnovamento degli assetti regolativi del sistema di relazioni industriali in Italia a partire, anche in tal caso, dalle esperienze in atto in Europa; assetti crescentemente caratterizzati da esperienze di tipo collaborativo e partecipativo.
      Come affermato nel Libro bianco sul mercato del lavoro, già nel corso degli anni ottanta l'adattamento alle sfide della globalizzazione e dell'internazionalizzazione dei mercati aveva registrato rilevanti successi soprattutto in quei Paesi che per tradizione disponevano di un quadro istituzionale decisamente partecipativo e collaborativo (Paesi scandinavi, Paesi Bassi, Austria e Germania). Nel decennio successivo questo modello regolatorio ha continuato ad estendersi al di là di ogni previsione anche ad altri Paesi, con la sola esclusione di Francia e Regno Unito, in ragione dell'emersione generalizzata di risposte di tipo concertativo e partecipativo alle tensioni provocate dalle crisi di sviluppo delle economie europee.
      La ricerca di soluzioni partecipative traspare altresì sia dal primo Rapporto della Commissione europea sulle relazioni industriali sia dalle riflessioni del Gruppo di alto livello sul futuro delle relazioni industriali, di cui Marco Biagi è stato autorevole esponente, ove risulta che in tutto il continente i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori si configurano come più partecipativi anche solo rispetto a un decennio fa e, in ogni caso, molto meno conflittuali rispetto al passato (vista anche la riduzione del numero di scioperi), nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea proclamata a Nizza che, all'articolo 27, sancisce il diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa.
      Dopo il successo della direttiva comunitaria sui comitati aziendali europei (direttiva 94/45/CE del Consiglio, del 22 settembre 1994, recepita dal Governo con il decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74), con l'affermazione di un ruolo premiale della contrattazione collettiva in funzione partecipativa, ed in attesa di una più compiuta disciplina sulla costituzione della società europea (sulla scorta della direttiva 2001/86/CE del Consiglio, dell'8 ottobre 2001), appare dunque opportuno sottolineare l'importanza di una riflessione, e di una iniziativa, sui temi della democrazia economica con particolare riferimento a quello della partecipazione finanziaria e dell'azionariato dei dipendenti.
      Proprio su questo specifico profilo della partecipazione - indicato a ragione alla stregua di una corrente apparentemente sotterranea della cultura industriale italiana ed oggetto di un intenso quanto ricorrente dibattito economico e giuridico sul modo di concepire i rapporti tra capitale e lavoro nell'impresa - si è esercitata l'intelligenza progettuale di Biagi che, in più occasioni, aveva denunciato sia l'insufficienza del dettato codicistico (articoli 2349 e 2441 del codice civile), sia l'estrema indeterminatezza del successivo dettato costituzionale (articoli 46 e 47), sia l'assenza di una disciplina organica che, sulla scorta di quanto da tempo sollecitato in sede comunitaria, conducesse a una
 

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regolamentazione di sostegno in grado di sciogliere i principali nodi di una materia tanto controversa quanto complessa.
      In particolare, la raccomandazione n. 92/443/CEE del Consiglio, del 27 luglio 1992, concernente la promozione della partecipazione dei lavoratori subordinati ai profitti ed ai risultati dell'impresa, ha espressamente invitato gli Stati membri a «riconoscere i vantaggi potenziali presentati da un maggiore ricorso, sia individualmente sia collettivamente, ad un'ampia varietà di formule di partecipazione dei lavoratori subordinati ai profitti e ai risultati dell'impresa, quali la partecipazione agli utili, l'azionariato oppure una combinazione di formule», indicando puntualmente due condizioni imprescindibili per l'effettivo loro decollo nell'adeguamento delle strutture giuridiche esistenti, da un lato, e, dall'altro, nel coinvolgimento e nella responsabilizzazione delle parti sociali.
      Successivamente, la relazione della Commissione europea su PEPPER II - promozione della partecipazione dei lavoratori subordinati ai profitti e ai risultati dell'impresa (compresa la partecipazione al capitale dell'impresa) negli Stati membri COM(96)697, dell'8 gennaio 1997, predisposta per verificare lo stato di attuazione della succitata raccomandazione del Consiglio, nonché il Libro verde - Partenariato per una nuova organizzazione del lavoro COM(97)128 della Commissione, del 16 aprile 1997, e la risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 1998 sulla relazione della Commissione sul tema, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, n. C 34 del 2 febbraio 1998, hanno variamente sottolineato che:

          a) la partecipazione dei lavoratori ai profitti e ai risultati dell'impresa a prescindere dai metodi e dai modelli utilizzati si associa sempre ad una maggiore produttività e a un discreto aumento dell'occupazione;

          b) la partecipazione rafforza l'attaccamento dei dipendenti alla loro impresa, incoraggiando l'acquisizione di qualifiche professionali;

          c) manca completamente una legislazione adeguata per l'applicazione dei sistemi di partecipazione, soprattutto per un'eccessiva ostilità dei sindacati all'uso dei sistemi di partecipazione, percepiti come uno strumento per introdurre una flessibilità incontrollata dei salari.

      Non sorprende che, in Italia, lo sviluppo dell'azionariato dei dipendenti si sia manifestato in modo frammentario e lacunoso, ciò che contribuisce a spiegare, almeno in parte, insieme alla tradizionale diffidenza del sindacato e del mondo imprenditoriale, le ragioni della scarsa diffusione, al di là di alcuni pur importanti casi aziendali, del ricorso a forme di azionariato dei dipendenti.
      Quantunque non si possa negare, almeno dal punto di vista delle relazioni industriali, l'importanza e, in taluni casi, persino l'originalità delle esperienze sin qui maturate nel nostro Paese - esperienze per lo più sollecitate dal processo di privatizzazione degli enti pubblici e dalla trasformazione delle società a partecipazione pubblica in società per azioni - si deve peraltro sottolineare come, in realtà, anche laddove si è cercato di sperimentare questa forma di partecipazione finanziaria, il livello della proprietà azionaria dei lavoratori sia tuttora sostanzialmente insignificante (uniche eccezioni di rilievo sono state i casi Telecom e Alitalia).
      Lo stesso legislatore ha, in effetti, contribuito a rilanciare l'idea di un più esteso ricorso all'azionariato dei dipendenti introducendo, con l'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314, che sostituisce l'articolo 48, oggi articolo 51, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, una disciplina di particolare favore sotto il profilo fiscale per le società che emettono nuove azioni a favore dei propri dipendenti. Successivamente, attraverso l'esercizio della delega sulla riforma dei mercati finanziari e delle società quotate (testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998,

 

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n. 58), è stata confermata questa opzione di favore verso l'accesso dei dipendenti al capitale azionario, introducendo una disciplina di sostegno per le società aventi azioni quotate, al fine di favorire i cosiddetti piani di stock options e cioè l'attribuzione del diritto a sottoscrivere azioni da parte dei lavoratori.
      Ancora, in questo contesto generale di riferimento si deve ricordare - ancorché all'epoca letto con un certo scetticismo - l'impegno sottoscritto il 23 dicembre 1998 tra Governo e parti sociali sulle politiche di concertazione e sulle nuove regole delle relazioni sindacali per la trasformazione e l'integrazione europea del sistema dei trasporti, che vide il suo principale estensore proprio in Marco Biagi, ove, al punto 4.6 si conveniva «di far evolvere i sistemi di relazioni sindacali verso modelli di tipo partecipativo con le modalità che saranno previste in sede di contrattazione collettiva, finalizzate a coinvolgere le rappresentanze dei lavoratori sugli indirizzi strategici definiti dalle imprese». A supporto di questa opzione si prevedeva che il Ministro dei trasporti e della navigazione avrebbe sottoposto al Consiglio nazionale dei trasporti e della logistica «un apposito provvedimento legislativo di sostegno per favorire la partecipazione azionaria dei dipendenti nelle imprese di trasporti».
      Quello che, ad una prima lettura, poteva apparire come un intervento di carattere settoriale e congiunturale, circoscritto a un settore particolarmente turbolento e critico come quello dei trasporti, avrebbe rappresentato un'importante sollecitazione che lo stesso Biagi si sarebbe successivamente incaricato di tradurre - su affidamento dell'allora Ministro dei trasporti ed in collaborazione con il suo allievo Michele Tiraboschi - in uno schema preliminare di disegno di legge di più ampio respiro per la regolamentazione dell'azionariato dei dipendenti, all'impianto ed ai contenuti del quale la presente proposta intende integralmente rifarsi, con ciò onorando oltremodo la memoria del suo originario ed originale ideatore, consapevole del fatto che l'approvazione del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, non ha inciso sulle previgenti tecniche legislative finalizzate all'acquisizione da parte dei dipendenti di azioni (articolo 2349 del codice civile) ovvero di opzioni (articolo 2441 del codice civile) cui si riferisce il progetto Biagi, anche se, ovviamente, nel corso del dibattito parlamentare potranno essere apportate tutte le modifiche volte al coordinamento della presente proposta di legge con la riforma del diritto societario e con le più recenti indicazioni in tema di partecipazione dei lavoratori di fonte europea che, come bene evidenziato dallo stesso Biagi, sollecitano l'introduzione di modelli partecipativi per via contrattuale e attraverso il coinvolgimento delle parti sociali.
      In questa prospettiva si potrebbe integrare, sempre nel corso del dibattito parlamentare, il testo del progetto Biagi con una norma quadro di disciplina degli istituti partecipativi, eventualmente anche mediante delega al Governo, che individui tuttavia nello strumento dell'avviso comune la chiave di volta per orientare in forme partecipative e collaborative il nostro sistema di relazioni industriali.
      Proprio da questo punto di vista il progetto Biagi mostra tutta la sua modernità e coerenza con lo spirito delle normative di tipo leggero (le soft laws). Infatti, e ferma restando la possibilità per le parti sociali di conseguire caso per caso intese più ampie sulle forme di rappresentanza negli organi di gestione della società, sul punto cruciale dell'azionariato dei dipendenti, la proposta di legge che qui presentiamo adotta una soluzione perfettamente coerente con il nostro sistema di relazioni industriali e con gli attuali assetti del diritto societario, riservando in via «obbligatoria» la presenza di rappresentanti dei dipendenti azionisti nel collegio sindacale e non nel consiglio di amministrazione. Si deve infatti ricordare, con le stesse parole di Biagi, che, «tradizionalmente, i soggetti fruitori del servizio di informazione e consulenza tecnico-contabile sull'operato degli amministratori offerto dal collegio sindacale non sono le maggioranze assembleari delle società bensì le minoranze azionarie, laddove la
 

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presenza in via obbligatoria dei rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di amministrazione, oltre a ingenerare pericolose contrapposizioni tra i diversi gruppi di lavoratori, potrebbe risolversi in una "trappola" per il movimento sindacale e fargli correre il rischio di perdere la sua indipendenza (...) senza il vantaggio o il cambio di una reale contropartita. La presenza dei rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di amministrazione, infatti, o si risolve in una vera e propria cogestione, con tutto quello che da ciò deriva, oppure non pare in grado di mettere effettivamente i dipendenti azionisti e le loro rappresentanze in grado di incidere sulle decisioni aziendali risolvendosi in una pura presenza minoritaria» (Biagi, La partecipazione azionaria dei dipendenti tra intervento legislativo e autonomia collettiva, in Montuschi, Tiraboschi, Treu, Marco Biagi. Un giurista progettuale, Milano, Giuffrè, 2003, ma 1999).
      L'idea di rinviare le forme di controllo al collegio dei sindaci e non al consiglio di amministrazione non è solo la più coerente con gli istituti della partecipazione nell'ambito del nostro sistema di relazioni industriali, ma pare oggi la formula più coerente con la riforma del diritto societario a cui si è appena fatto cenno (decreto legislativo n. 6 del 2003).
      La proposta di legge si articola in sette capi e ventiquattro articoli nei quali si disciplinano, rispettivamente:

          con il capo I (articoli 1-3), il concetto di piani di partecipazione finanziaria, definiti unilateralmente o concertati in sede sindacale, aventi lo scopo di promuovere l'acquisizione di partecipazioni azionarie della società datrice di lavoro da parte dei prestatori di lavoro; il loro contenuto e le forme di realizzazione, anche in forma mista, ai sensi della disciplina codicistica (articoli 2349 e 2441 del codice civile) mediante assegnazione straordinaria di utili, aumento di capitale, offerta di vendita, assegnazione gratuita o offerta di sottoscrizione o di vendita ai lavoratori di titoli obbligazionari convertibili; il campo di applicazione, ovvero tutti i lavoratori dipendenti dalla società datrice di lavoro, anche se assunti con contratto di lavoro a tempo parziale o determinato;

          con il capo II (articoli 4-7), le modalità di anticipazione sul trattamento di fine rapporto, al prestatore di lavoro, ai fini della sottoscrizione o dell'acquisto di azioni nell'ambito di un piano di partecipazione finanziaria, secondo le forme più diffuse e tipiche (nella prassi italiana e nell'esperienza di altri ordinamenti); l'impiego di quote o elementi della retribuzione che i contratti e gli accordi collettivi possono destinare, in misura non superiore al 15 per cento della retribuzione globale di fatto, per la sottoscrizione o l'acquisto di azioni; il ricorso al credito erogato da enti finanziari o da istituti di credito cui i lavoratori abbiano fornito a titolo di pegno le azioni acquistate e l'obbligo in capo al soggetto finanziatore di attenersi alle disposizioni in materia di deposito obbligatorio successivamente dettate (articolo 16, comma 6); la facoltà data ai fondi pensione di concedere prestiti ai lavoratori per la sottoscrizione o l'acquisto di azioni;

          con il capo III (articoli 8-9) le ipotesi particolari, di ristrutturazione e crisi aziendale e di privatizzazione degli enti pubblici e delle società a partecipazione pubblica, in cui rispettivamente i contratti collettivi possono prevedere forme di ricapitalizzazione delle società finanziate in tutto o in parte dai lavoratori, e le società o gli enti medesimi devono offrire ai loro dipendenti la sottoscrizione o l'acquisto di azioni;

          con il capo IV (articoli 10-16) le forme di rappresentanza dei dipendenti azionisti e i diritti di informazione e di controllo, a partire dalla loro definizione soggettiva, nell'ambito degli organismi sociali; le modalità di costituzione delle associazioni di dipendenti azionisti, tra cui in forma distinta quelle dei dirigenti; la raccolta di deleghe e le operazioni di voto; l'attività di vigilanza in capo alla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB);

          con il capo V (articoli 17-18) le agevolazioni di carattere fiscale in favore

 

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di dipendenti e società, mediante deducibilità dal reddito individuale o d'impresa delle spese sostenute in attuazione di un piano di partecipazione finanziaria; il periodo minimo di inalienabilità delle azioni; l'esclusione dall'imposta di registro;

          con il capo VI (articoli 19-20) il regime di proprietà delle azioni acquistate nelle ipotesi in cui viga la comunione dei beni tra coniugi, nonché la possibilità da parte dei lavoratori interessati dal trasferimento d'azienda di richiedere alla società alienante la liquidazione della loro partecipazione azionaria;

          con il capo VII (articoli 21-24) la modifica dell'articolo 2357-bis del codice civile in tema di compiti dell'assemblea nell'autorizzazione all'acquisto delle azioni, termini per l'inizio dell'esecuzione del piano di partecipazione finanziaria, nonché di corrispettivo al quale le azioni devono essere offerte; la previsione che il voto in assemblea possa essere esercitato anche per corrispondenza.

 

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